Revista Temas de Derecho Constitucional

117 Lo straniero come “ospite”: riflessioni a partire dal caso italiano Accanto a percorsi di integrazione basati sull’adesione per così dire “volontaria” dello straniero-ospite, occorre dar conto dell’eventualità che l’ospitalità sia in qualche modo “condizionata” al rispetto di un “patto” o di un “accordo”, che può talvolta assumere anche rilevanza giuridica: in tal senso l’esperienza dell’Italia può essere significativa, in quanto riferita principalmente all’integrazione di stranieri che si riconoscono nella religione islamica in un contesto, come quello italiano, fortemente segnato da un’appartenenza cristiana e cattolica in particolare. Un primo tentativo fu costituito dall’adozione, nel 2007, di una “Carta dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione” (cui si è già fatto cenno), allo scopo di riassumere e rendere espliciti i principi fondamentali del nostro ordinamento che regolano la vita collettiva, sia dei cittadini che degli immigrati, cercando di focalizzare i principali problemi legati al tema dell’integrazione. La Carta, redatta secondo i principi della Costituzione italiana e delle principali Carte europee e internazionali dei diritti umani, si sofferma in modo particolare su alcuni dei problemi che la multiculturalità pone alle società occidentali. Detto documento è stato adottato mediante un decreto del Ministero dell’Interno (del 23 aprile 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 2007), con cui è stato riconosciutoallaCarta “il valoredi direttivageneraleper l’Amministrazionedell’Interno”. Il decreto istituisce anche un Consiglio scientifico con il compito “di approfondire e proporre le più opportune iniziative per la conoscenza, la diffusione della Carta dei valori ed i successivi interventi e di studiare le soluzioni più adeguate per l’armonica convivenza delle comunità dell’immigrazione e religiose nella società italiana”. Senza soffermarsi in questa sede sul (discusso) valore giuridico di tale documento (Colaianni, 2007; Consorti , 2009 ), esso è l’evidente sintomo, per quanto qui rileva, di un tentativo di condizionare l’ospitalità ad alcuni “valori” e principi rilevanti per l’ordinamento giuridico italiano, e la cui condivisione (o, perlomeno, il cui rispetto) sono posti come condizione per integrare lo straniero all’interno del contesto ordinamentale. Tale ultimo tema si combina, come accennato, in modo specifico con la dimensione più specificamente religiosa dell’immigrazione, o per meglio dire di una parte consistente dell’immigrazione rilevante per il nostro Paese: ed infatti l’anno successivo è stata sottoscritta una “Dichiarazione di intenti per una federazione dell’Islam italiano” da parte di sette componenti della Consulta per l’Islam e dal segretario del Centro islamico della grande Moschea di Roma. Scopo dell’iniziativa è di “dare vita ad una struttura federativa che aggreghi i musulmani che vivono in Italia e che si riconoscano nei principi della Costituzione e della Carta dei valori”. Si tratta di un documento di natura essenzialmente privata e la cui efficacia è limitata ai soggetti sottoscrittori, ma la cui redazione è stata sostenuta dal Governo italiano (Consorti, 2009: 16; Macrì, 2012: 3). Sul piano più propriamente normativo va invece segnalata l’introduzione, mediante la legge 15 luglio 2009 n. 94, dell’art. 4 bis nel Testo unico sull’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 386), con cui si è previsto il cosiddetto “accordo di integrazione”, sul modello di altre esperienze straniere (Milani, 2017): si tratta di un patto tra straniero e Stato, articolato per crediti, anche conosciuto come “permesso a punti” , che lo straniero ha l’obbligo di sottoscrivere al momento del suo ingresso sul territorio nazionale quale condizione necessaria per il rilascio del permesso di

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