Revista Temas de Derecho Constitucional
119 Lo straniero come “ospite”: riflessioni a partire dal caso italiano positivamente (sebbene esso risultasse, come detto, obbligato a seguito della sentenza della Corte costituzionale), meno positivamente va valutata la previsione (contenuta nell’art. 14, comma2, del d.lgs. 40/2017)per cui «l’ammissioneal serviziocivileuniversale noncostituisce inalcuncaso, per il cittadinostraniero, presuppostoper il prolungamento della durata del permesso di soggiorno». Come è stato rilevato, “siccome l’esperienza del servizio civile è funzionale alla valorizzazione di una dimensione sostanziale della cittadinanza e alla promozione di processi di inclusione sociale (e, lato sensu , politica), il decreto avrebbe potuto utilmente prevedere lo svolgimento del servizio civile non solo fra le cause di prolungamento del permesso di soggiorno, ma anche fra quelle per l’ottenimento dello stesso, fino a prevedere un apposito titolo, volto ad assicurare la partecipazione all’esperienza ed il suo completamento, anche successivamente convertibile in altro titolo abilitante al soggiorno” (Centro interuniversitario di studi sul servizio civile, 2017: 10). 6. EMANCIPARE DALLA CONDIZIONE DI OSPITALITÀ: L’ACQUISTO DELLA CITTADINANZA (COME PROCESSO) Dopo aver chiarito le differenze tra ospitanti ed ospitati, ed aver ragionato sul contenuto dell’ospitalità e delle condizioni eventualmente poste per beneficiarne, occorre soffermarsi da ultimo sui percorsi che possono condurre un ospite ad emanciparsi da tale condizione, mutando il proprio status e divenendo parte integrante della comunità ospitante. Abbiamo detto che ciò che dovrebbe distinguere gli ospitanti dagli ospiti è - in termini generali - il possesso della cittadinanza, ma che tale criterio non ha valore assoluto: sia in quanto il relativo concetto è oggetto di tensioni sia in quanto il trattamento dei non cittadini nell’ordinamento italiano è differenziato in ragione di vari fattori. Nondimeno, dobbiamo considerare che l’acquisto della cittadinanza, da parte di stranieri (o apolidi), consente di emanciparsi dalla condizione di “ospiti”: e che quindi i criteri posti dall’ordinamento per l’acquisto della cittadinanza assumono rilievo decisivo nel discorso che si sta facendo. Conviene dunque valutare con attenzione detti criteri, anche al fine di considerare la percorribilità della prospettiva, sopra indicata, che fonda la procedura di ottenimento della cittadinanza su una progressiva integrazione nel territorio. Partiamo dunque dai criteri in essere. In generale, è noto come la definizione delle regole di acquisto e di perdita della cittadinanza sia di competenza di ciascun ordinamento: ogni Stato moderno definisce infatti “formalmente la sua comunità di cittadini, identificando un insieme di persone come propri membri e designando per esclusione tutte le altre come non-cittadini o stranieri” (Brubaker, 1997: 45). In quanto situazione esclusivamente giuridica, dunque, la cittadinanza “assume quella estensione che il diritto di ogni stato ritiene di doverle conferire, in relazione alle sue particolari finalità” (Mortati, 1975: 123). In generale, tuttavia, ogni ordinamento fa riferimento a due principali modi di acquisto della cittadinanza: la discendenza ereditaria (ovvero lo jus sanguinis) , ovvero la nascita in un determinato territorio (lo jus soli) . Si tratta di due opzioni fondamentali con cui lo Stato regola la formazione della sua comunità futura, dandoprevalenza ai rapporti di sangue (o comunque familiari, come nel casodi acquisto
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