Revista Temas de Derecho Constitucional

120 Revista Temas de Derecho Constitucional della cittadinanza mediante matrimonio) oppure al legame con il territorio (Cuniberti, 1997; Grosso, 1997). L’ordinamento italiano ha fondato la propria legislazione principalmente sullo jus sanguinis , per cui è cittadino italiano il figlio di padre o madre cittadini italiani, e riservando al criterio dello jus soli un ambito applicativo del tutto marginale (acquista la cittadinanza italiana chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo le leggi dello Stato a cui questi appartengono). Insieme a tali criteri “originali” (nel senso di prevedere l’acquisto della cittadinanza alla nascita), la legge italiana consente anche l’acquisto della cittadinanza da parte di stranieri, prevedendo criteri diversi in ragione di categorie differenti di stranieri. La legge vigente (legge n. 91/1992) ha infatti previsto che i cittadini dell’Unione europea possono acquistare la cittadinanza italiana dopo quattro anni di residenza sul territorio; i discendenti di cittadini italiani dopo tre anni di residenza ovvero se dimostrano di aver risieduto legalmente nel paese nei due anni antecedenti al compimento della maggiore età; agli stranieri provenienti da Paesi terzi è richiesta invece una residenza sul territorio per almeno dieci anni e per i loro figli, nati in Italia, è richiesta la residenza ininterrotta e continuativa fino al diciottesimo anno di età. Come può osservarsi, tali ulteriori criteri si fondano esclusivamente sul fattore tempo, e per questo sono definiti “asettici” (Azzariti, 2011: 429): in nessun modo viene considerato e valorizzato il modo con cui quel tempo è trascorso, vale a dire se dando prova di voler partecipare alla vita della comunità oppure se come ospite estraneo e passivo. Ciò è tanto più grave in quanto, come si è detto, la democrazia ha bisogno del consenso e della partecipazione attivi e la Repubblica necessita del contributo di ciascuno al perseguimento dello sviluppo della società: così che si produce uno iato tra la comprensione di sé, propria delle democrazie, e il modo in cui esse conferiscono la cittadinanza (Benhabib , 2005: 2 19). Per superare tale situazione, una possibile soluzione potrebbe consistere nel valorizzare il legame di fatto tra individuo e Stato e la volontarietà di tale processo identitario. In altri termini, occorrerebbe considerare l’acquisto della cittadinanza come un percorso da costruire , volto a privilegiare – nel conseguimento dello status di cittadino – alcuni indici di integrazione sul territorio (quali ad esempio la frequenza di corsi di studio), ed eliminando ogni inutile aggravamento burocratico per gli stranieri che risiedono da tempo in uno Stato o che, addirittura, vi sono nati (Biondi Dal Monte, 2013, 284). Proprio la presenza stabile e strutturale di cittadini stranieri nella società, che trova un indice significativo anche nella crescita di seconde e terze generazioni di migranti, sollecita la valorizzazione del legame di fatto tra individuo e Stato, verso l’elaborazione di una concezione di “comunità” costruita con il contributo di tutti coloro che sono attivi e presenti all’interno dello spazio sociale. In questa prospettiva potrebbe essere ripensata anche la concezione stessa di nazione, da intendersi come il risultato della creazione progressiva di una comunità attraverso forme di unione libera e spontanea e l’accettazione di principi comuni (Bartole, 2012: 154; Id, 2013: 759.). Tutto ciò ci pare pienamente coerente con la dimensione dell’ospitalità di cui si discorre in questa sede: l’ospite viene progressivamente inserito nel contesto ospitante ed invitato a parteciparvi in modo attivo, godendo dei diritti ed assumendo

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